mercoledì 17 marzo 2021

SAN GIUSEPPE - La vita nello Spirito dello Sposo di Maria - don Emilio Reghenzi - Gilgamesh Edizioni

 


Fonti autorevoli quali San Girolamo (347 ca. 420), Sant'Agostino (354-430) e San Tommaso d'Aquino (1225-1274), sostengono la grande personalità, santità, testimonianza e capacità di vita spirituale di San Giuseppe.

San Giuseppe, in quanto padre di Gesù e sposo di Maria, è definito, proprio per la sua fede, con l'appellativo sobrio e grandioso di uomo giusto, perché disponibile a obbedire fedelmente alla Parola di Dio. Il falegname di Nazareth è stato a suo modo un rivoluzionario, perché non obbedì alle leggi del suo tempo, ma abbraccio, mosso dallo Spirito, la volontà divina. Giuseppe si è fatto carico di una paternità non sua. Cresce il Figlio di Dio e lo accompagna alla maturità come un amorevole papà. la missione per la quale Giuseppe stato prescelto da Dio è quella di essere il Custode del Redentore, ossia di Gesù. Il Figlio di Dio, infatti, facendosi uomo, ha voluto nascere come tutti noi in una famiglia, per esservi accolto ed educato. Interiormente preparato e guidato dallo Spirito Santo, Giuseppe riconosce pienamente il volto di Dio. Lo Spirito Santo che forma nel modo più perfetto ogni amore umano, certamente ha concesso al cuore di Giuseppe una sensibilità del tutto particolare ai suoi impulsi, rigenerando il vero uomo. Mentre la coppia di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l'opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell'amore e questa culla della vita. San Giuseppe è l'esempio dell'unico vero uomo, Gesù Cristo, ed esorta ognuno a esserlo, come ha sottolineato lo stesso Papa Francesco: "Se Gesù uomo ha imparato a dire papà, padre, al suo Padre che conosceva come Dio, lo ha imparato dalla vita, dalla testimonianza di Giuseppe: l'uomo che custodisce, l'uomo che fa crescere, l'uomo che porta avanti ogni paternità e ogni mistero, ma non prende nulla per sé".

La vita spirituale di San Giuseppe diventa la nostra, anche attraverso la nostra vita di preghiera, per questo nel libro troviamo spunti di preghiera per la nostra crescita nella volontà del Padre.

( tratto dalla quarta pagina di copertina del libro).



L'autore

Don Emilio Reghenzi è nato nel'62 a Brescia e vive a Fiesse (Brescia). Ordinato sacerdote il 9 giugno 1990, come teologo si dedica in particolare alla ricerca teologica nel campo spirituale. Tra i libri pubblicati ricordiamo: "I doni dello Spirito Santo nella vita e negli scritti del Beato Piergiorgio Frassati", 2006. e "Satana, come liberarsene", 2009,  Nel 2008 con Fede & Cultura ha pubblicato il volume "Come ottenere da Dio Doni, Beatitudini, Virtù". Ha compiuto i suoi studi presso l'ateneo dei domenicani di Bologna, conseguendo il dottorato in teologia presso l'Angelicum di Roma. Ha approfondito gli studi di Teologia Spirituale presso il Teresianum di Roma.  

 Edizioni Gilgamesh

martedì 29 agosto 2017

SUPPLICA A SAN MICHELE ARCANGELO - Edizioni Segno

SUPPLICA A SAN MICHELE ARCANGELO


  • Le apparizioni di San Michele
  • La consacrazione all'Arcangelo
  • La corona angelica
  • Esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli di Papa Leone XIII
  • Invocazioni, litanie e preghiere
Una devozione per questi nostri tempi terribili, un libriccino tascabile veramente prezioso per ogni cattolico.

Costa 2 euro 
Lo si può ordinare direttamente alla Casa Editrice o nelle librerie cattoliche.


lunedì 23 gennaio 2017

Sopravvissuti e dimenticati, il dramma delle foibe e l'esodo dei giuliano-dalmati di Marco Girardo



Titolo: Sopravvissuti e dimenticati, il dramma delle foibe e l'esodo dei giuliano-dalmati

Autore: Marco Girardo

Editrice: Paoline

Il testo di M. Girardo prende in considerazione due eventi storici riconducibili alla seconda guerra mondiale e all'immediato dopoguerra:-la sparizione nelle foibe di circa 5000 persone (soldati e civili, per lo più italiani) a opera del movimento partigiano jugoslavo, destinato a confluire nelle armate di Tito;-l'esodo verso l'Italia di circa 300mila persone (per lo più italiane) che abitavano l'Istria e la Dalmazia quando queste regioni, alla fine della guerra, furono assegnate alla Jugoslavia (trattato di Parigi, 10 febbraio 1947). Nelle pagine di questo libro, Girardo intervista tre persone direttamente o indirettamente coinvolte nelle vicende citate. Il primo personaggio è Graziano Udovisi, l'unico sopravvissuto alle foibe che sia ancora in vita, il quale racconta con impressionante dovizia di particolari quelle ore in cui la morte vicinissima gli fu miracolosamente risparmiata. Il secondo intervistato è Piero Tarticchio, esule di Gallesano, il quale, avendo perso il padre e altri parenti in una foiba, ha vissuto entrambe le drammatiche esperienze che hanno segnato la gente giuliano-dalmata.Infine la parola passa a Nata Nemec, una storica slovena di Nova Gorica che ha cercato di stilare un elenco dei caduti nelle foibe, sfidando in molti casi la diffidenza dei colleghi e dei connazionali.

Storia di un infoibato:
Beato  don Francesco Bonifacio
BEATO DON FRANCESCO BONIFACIO (7 settembre 1912 - 11 settembre 1946) VITTIMA DEI PARTIGIANI COMUNISTI DI TITO, MARTIRE DELLE FOIBE. AVEVA 34 ANNI.
" Chi non ha il coraggio di morire per la propria fede è indegno di professarla".
(Da una lettera di don Francesco Bonifacio scritta nel 1946)



Don Bonifacio nacque a Pirano (oggi Slovenia) il 7 settembre 1912 e morì assassinato a Grisignana l'11 settembre 1946, a 36 anni, dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Gli assassini erano guardie popolari dei comunisti jugoslavi di Tito. Fu sorpreso sulla strada del ritorno a casa, torturato e infine gettato in una foiba. Il suo corpo non fu mai più ritrovato (molti anni dopo, una delle guardie popolari, ritrovata da un regista teatrale raccontò che Don Bonifacio era stato spogliato della talare, colpito con pugni al volto, finito con due coltellate e infine gettato in una foiba).
Il processo canonico accertò che il suo assassinio fu "in odium fidei" e pertanto oltre che Beato fu dichiarato Martire della chiesa Cattolica.
Bonifacio, fin da bambino buono, paziente e umile, ebbe sei fratelli, uno dei quali fu arrestato, dopo la sua morte, dai partigiani perché cercava e chiedeva a tutti notizie del fratello scomparso.
Frequentò il seminario a Capodistria e fu ordinato sacerdote a Gorizia nel 1936.
Durante il suo sacerdozio, pur godendo di ben poca salute, fece parte come attivista dell'Azione Cattolica e molte furono le iniziative a favore dei giovani, degli anziani, degli ammalati e dei poveri della sua parrocchia di Villa Cardossi.
La causa di beatificazione fu iniziata nel 1957, ma rimase a lungo ferma a causa della difficile situazione politica di quelle zone e si sbloccò solo nel 1997.
La cerimonia di beatificazione è avvenuta il 4 ottobre 2008 nella Cattedrale di San Giusto a Trieste.
La sua festa ricorre l'11 settembre.


martedì 15 marzo 2016

MONS. SALVATORE COLOMBO, Vescovo dei poveri e martire della carità di Massimiliano Taroni - Editrice Velar



Vita di Mons. Salvatore Colombo, Vescovo della Somalia (1922-1989)

Monsignore Salvatore Colombo nasce a Carate Brianza il 28 ottobre 1922.
Viene chiamato Pietro al fonte battesimale dai genitori Luigi Colombo ed Ernestina Farina. E' l'ultimo di 5 figli. L'infanzia trascorre serena, nella cascina della pianura lombarda. Il rosario serale  riunisce la famiglia nella devozione alla Santa Madre di Dio.
Nel 1933, a undici anni, entra nell'Ordine dei Frati Minori di Lombardia.
In piena guerra mondiale fra Salvatore prosegue i suoi studi teologici nel convento di sant'Antonio a Milano, in via Farini 10, dove ora riposano le sue spoglie. 
Il 20 agosto 1944, nella stessa chiesa di Sant'Antonio, fra Salvatore si consacra per sempre a Dio nell'Ordine francescano, emettendo la professione solenne.
Ordinato sacerdote nel 1946 dal beato cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, l'anno dopo, il 30 marzo 1947,  parte per la Somalia dove fonda diverse stazioni missionarie.


Mons. Colombo si difende dalle affettuosità di una leonessa. 
Nel 1960 in Somalia scoppia la rivoluzione socialista e nel 1972 vengono confiscate e nazionalizzate scuole, ambulatori e tipografie della missione. Rimangono solamente la chiesa e la cattedrale. Rimangono anche due piccole comunità di suore che si occupano di un asilo e di un lebbrosario. Qui lavora per oltre 40 anni Padre Pietro Turati (clicca qui), compagno di monsignor Colombo, che sarà poi assassinato nel 1991. Nel 1976 Paolo VI  elegge Salvatore Colombo a vescovo della diocesi di Mogadiscio.  Inizia così una vastissima opera di carità verso i profughi dell'Ogaden  e verso la gente più abbandonata della Somalia realizzando molti progetti di promozione umana e sociale come testimonianza del Vangelo in mezzo a quelle popolazioni totalmente islamiche.


Mons. Colombo riceve un dono da una suora
Cattedrale di Mogadiscio - Monsignor Colombo impartisce i sacramenti della Santa Eucarestia e della Cresima

Martire della carità, il 9 luglio 1989, viene ucciso vicino alla cattedrale di Mogadiscio, mentre all'interno si celebra l'Eucarestia e si prega "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo".
Leggiamo quanto scrive a proposito dell'assassinio di Monsignor Colombo, padre Massimiliano Taroni, allora giovane francescano in Somalia nel libro "Monsignor Salvatore Colombo", edito da VELAR "... sono le 19,15 ed io, rassegnato al fatto di non aver accompagnato padre Salvatore (alla chiesa del Sacro Cuore), partecipo alla Santa Messa in italiano in Cattedrale; mi trovo al primo banco, a pochi metri dal luogo dove P. Salvatore offrirà la sua vita, versando il proprio sangue.
E' il momento dell"Agnello di Dio" e nella Cattedrale si sente un colpo forte e secco, uno sparo uno sparo che risuona fragoroso destando sgomento: subito fra Paolo Guzzi, avendo sentito gridare "aiuto!" esce all'esterno; dopo pochi istanti lo si vede rientrare affannosamente e dirigersi verso il sacerdote sull'altare. Intuisco che qualcosa di grave deve essere successo ed anch'io corro velocemnte fuori dalla Cattedrale, subito seguito da fra Paolo, da P. Venanzio Tresoldi, che ha interrotto la S. Messa e da due suore. Una terribile scena ci si presenta: è ormai buio da quasi un'ora, ma il corpo del Vescovo accasciato al suolo lo si scorge bene a causa del candido abito bianco che indossa. Giace nell'aiuola accanto alla stradina che conduce ai garages con il corpo colpito mortalmente. Mentre mi inginocchio e gli prendo le mani, un brivido m'assale, un brivido che mi congela lo sguardo e il cuore. Padre Venanzio ancora rivestito dei Sacri Paramenti, porge l'assoluzione a Padre Salvatore, quindi ritorna in chiesa per terminare la Messa. Io e fra Paolo invochiamo affettuosamente "Monsignore, Monsignore!". In quell'istante accorre anche don Palmiro, un sacerdote-medico ospitato dal monsignore; s'inginocchia anch'egli e. accostandosi al viso privo di sensi, riesce a percepire un lieve respiro: è ancora vivo. Io e fra Paolo corriamo precipitosamente in cantina a prendere una barella e, in un batter d'occhio, adagiatovi P. Salvatore, lo portiamo all'interno della casa, in quella stessa sala dove accoglieva i suoi ospiti e dove in mattinata ha accolto anche il killer che lo avrebbe poi assassinato... P. Salvatore è ora cosciente, si muove e a tutti rivolge il suo paterno sguardo che mai dimenticherò e che sempre ho impresso in mente. Quei suoi occhi così espressivi e dolci sembrano dire: Vi ho voluto bene, ora vi lascio...".I giorni successivi all'assassinio sono giorni tremendi e intensi... Dall'Italia giungono tre frati: il P. provinciale di allora, P. Arcangelo Zucchi, P. Giorgio Bertin e fra Gianni Losio ... I funerali sono fissati per il giorno 15 luglio. Dalle autorità giunge l'ordine che avvengano in gran segreto di sera durante il coprifuoco. Giunge pure il nunzio apostolico da Kartoum, Mons. Roblez Dias. Sono le 21 del 15 luglio. Giunge scortato dalla polizia il feretro di Mons. Colombo su di una barella. Fra Paolo Guzzi, per anni a fianco del vescovo e abile falegname, ha costruito la cassa, semplicissima. Nella cattedrale si è preparato, nella navata di destra, il vano per seppellire il vescovo. Per strada non c'è un'anima viva. solo polizia. Nella Cattedrale sono presenti tutti i frati della missione, quattro frati di Milano tra cui il sottoscritto, il nunzio apostolico, un sacerdote bresciano, un somalo, una manciata di suore e uno dei nipoti del vescovo, allora membro del Parlamento Europeo a Bruxelles. Al termine, badili alla mano, tutti i celebranti seppelliscono il vescovo come un martire dei primi secoli.
Due anni più tardi la cattedrale è rasa al suolo e le quattro tombe dei vescovi sono scoperchiate, devastate e i resti dispersi.  Qualche settimana dopo le mani pietose di alcuni paracadutisti italiani e del loro cappellano raccolgono ciò che resta dei quattro presuli. Quattro minuscole cassette con qualche ossa restano per alcuni anni nel deposito di un cimitero, in Italia. Finalmente i resti mortali del vescovo dei poveri e del martire della carità, Monsignor Salvatore Colombo, e dei vescovi Bernardino Bigi, Fulgenzio Lazzati, Silvio Zocchetta vengono inumati. Riposano ora sotto l'altare di S. Francesco nella Basilica di S. Antonio di Padova, in via Farini a Milano. E' il 12 novembre 1997."


Per saperne di più:

Il Vescovo col saioPietro Salvatore Colombo (Wikipedia)
Omicidio a Mogadiscio (CLICCA QUI PER LEGGERE IL LIBRO)
La Cattedrale di Mogadiscio
Somalia, mons. Bertin: basta fame e guerra
Aiuto alla Somalia
Guerra civile in Somalia
Somalia (Wikipedia)
Mogadiscio (Wikipedia)
Diocesi di Mogadiscio (Wikipedia)
Chiesa cattolica in Somalia


Altare di San Francesco nella Basilica di S. Antonio di Padova a Milano.
Qui riposano le spoglie di Mons. Salvatore Colombo, Bernardino Bigi, 

Fulgenzio Lazzati, Silvio Zocchetta dal 12 novembre 1997

OMICIDIO A MOGADISCIO - L'ULTIMO VESCOVO AL CREPUSCOLO DELLA SOMALIA di Dario Paladini




La storia dell'ultimo Vescovo della Somalia, Mons. Salvatore Colombo (1922-1989)
Monsignore Salvatore Colombo, vescovo di Mogadiscio, Somalia

Monsignore Salvatore Colombo nasce a Carate Brianza il 28 ottobre 1922.
Viene chiamato Pietro al fonte battesimale dai genitori Luigi Colombo ed Ernestina Farina. E' l'ultimo di 5 figli. L'infanzia trascorre serena, nella cascina della pianura lombarda. Il rosario serale  riunisce la famiglia nella devozione alla Santa Madre di Dio.
Nel 1933, a undici anni, entra nell'Ordine dei Frati Minori di Lombardia.
In piena guerra mondiale fra Salvatore prosegue i suoi studi teologici nel convento di sant'Antonio a Milano, in via Farini 10, dove ora riposano le sue spoglie. 
Il 20 agosto 1944, nella stessa chiesa di Sant'Antonio, fra Salvatore si consacra per sempre a Dio nell'Ordine francescano, emettendo la professione solenne.
Ordinato sacerdote nel 1946 dal beato cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, l'anno dopo, il 30 marzo 1947,  parte per la Somalia dove fonda diverse stazioni missionarie.


Mons. Colombo si difende dalle affettuosità di una leonessa. 
Nel 1960 in Somalia scoppia la rivoluzione socialista e nel 1972 vengono confiscate e nazionalizzate scuole, ambulatori e tipografie della missione. Rimangono solamente la chiesa e la cattedrale. Rimangono anche due piccole comunità di suore che si occupano di un asilo e di un lebbrosario. Qui lavora per oltre 40 anni Padre Pietro Turati (clicca qui), compagno di monsignor Colombo, che sarà poi assassinato nel 1991. Nel 1976 Paolo VI  elegge Salvatore Colombo a vescovo della diocesi di Mogadiscio.  Inizia così una vastissima opera di carità verso i profughi dell'Ogaden  e verso la gente più abbandonata della Somalia realizzando molti progetti di promozione umana e sociale come testimonianza del Vangelo in mezzo a quelle popolazioni totalmente islamiche.


Mons. Colombo riceve un dono da una suora
Cattedrale di Mogadiscio - Monsignor Colombo impartisce i sacramenti della Santa Eucarestia e della Cresima

Martire della carità, il 9 luglio 1989, viene ucciso vicino alla cattedrale di Mogadiscio, mentre all'interno si celebra l'Eucarestia e si prega "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo".
Leggiamo quanto scrive a proposito dell'assassinio di Monsignor Colombo, padre Massimiliano Taroni, allora giovane francescano in Somalia nel libro "Monsignor Salvatore Colombo", edito da VELAR "... sono le 19,15 ed io, rassegnato al fatto di non aver accompagnato padre Salvatore (alla chiesa del Sacro Cuore), partecipo alla Santa Messa in italiano in Cattedrale; mi trovo al primo banco, a pochi metri dal luogo dove P. Salvatore offrirà la sua vita, versando il proprio sangue.
E' il momento dell"Agnello di Dio" e nella Cattedrale si sente un colpo forte e secco, uno sparo uno sparo che risuona fragoroso destando sgomento: subito fra Paolo Guzzi, avendo sentito gridare "aiuto!" esce all'esterno; dopo pochi istanti lo si vede rientrare affannosamente e dirigersi verso il sacerdote sull'altare. Intuisco che qualcosa di grave deve essere successo ed anch'io corro velocemnte fuori dalla Cattedrale, subito seguito da fra Paolo, da P. Venanzio Tresoldi, che ha interrotto la S. Messa e da due suore. Una terribile scena ci si presenta: è ormai buio da quasi un'ora, ma il corpo del Vescovo accasciato al suolo lo si scorge bene a causa del candido abito bianco che indossa. Giace nell'aiuola accanto alla stradina che conduce ai garages con il corpo colpito mortalmente. Mentre mi inginocchio e gli prendo le mani, un brivido m'assale, un brivido che mi congela lo sguardo e il cuore. Padre Venanzio ancora rivestito dei Sacri Paramenti, porge l'assoluzione a Padre Salvatore, quindi ritorna in chiesa per terminare la Messa. Io e fra Paolo invochiamo affettuosamente "Monsignore, Monsignore!". In quell'istante accorre anche don Palmiro, un sacerdote-medico ospitato dal monsignore; s'inginocchia anch'egli e. accostandosi al viso privo di sensi, riesce a percepire un lieve respiro: è ancora vivo. Io e fra Paolo corriamo precipitosamente in cantina a prendere una barella e, in un batter d'occhio, adagiatovi P. Salvatore, lo portiamo all'interno della casa, in quella stessa sala dove accoglieva i suoi ospiti e dove in mattinata ha accolto anche il killer che lo avrebbe poi assassinato... P. Salvatore è ora cosciente, si muove e a tutti rivolge il suo paterno sguardo che mai dimenticherò e che sempre ho impresso in mente. Quei suoi occhi così espressivi e dolci sembrano dire: Vi ho voluto bene, ora vi lascio...".I giorni successivi all'assassinio sono giorni tremendi e intensi... Dall'Italia giungono tre frati: il P. provinciale di allora, P. Arcangelo Zucchi, P. Giorgio Bertin e fra Gianni Losio ... I funerali sono fissati per il giorno 15 luglio. Dalle autorità giunge l'ordine che avvengano in gran segreto di sera durante il coprifuoco. Giunge pure il nunzio apostolico da Kartoum, Mons. Roblez Dias. Sono le 21 del 15 luglio. Giunge scortato dalla polizia il feretro di Mons. Colombo su di una barella. Fra Paolo Guzzi, per anni a fianco del vescovo e abile falegname, ha costruito la cassa, semplicissima. Nella cattedrale si è preparato, nella navata di destra, il vano per seppellire il vescovo. Per strada non c'è un'anima viva. solo polizia. Nella Cattedrale sono presenti tutti i frati della missione, quattro frati di Milano tra cui il sottoscritto, il nunzio apostolico, un sacerdote bresciano, un somalo, una manciata di suore e uno dei nipoti del vescovo, allora membro del Parlamento Europeo a Bruxelles. Al termine, badili alla mano, tutti i celebranti seppelliscono il vescovo come un martire dei primi secoli.
Due anni più tardi la cattedrale è rasa al suolo e le quattro tombe dei vescovi sono scoperchiate, devastate e i resti dispersi.  Qualche settimana dopo le mani pietose di alcuni paracadutisti italiani e del loro cappellano raccolgono ciò che resta dei quattro presuli. Quattro minuscole cassette con qualche ossa restano per alcuni anni nel deposito di un cimitero, in Italia. Finalmente i resti mortali del vescovo dei poveri e del martire della carità, Monsignor Salvatore Colombo, e dei vescovi Bernardino Bigi, Fulgenzio Lazzati, Silvio Zocchetta vengono inumati. Riposano ora sotto l'altare di S. Francesco nella Basilica di S. Antonio di Padova, in via Farini a Milano. E' il 12 novembre 1997."
In un altro libro "Omicidio a Mogadiscio - L'ultimo vescovo al crepuscolo della Somalia" di Dario Paladini, a pag 31, si legge, riguardo al funerale di Mons. Colombo: "In tutto nella Cattedrale vi erano 30 persone, oltre ai frati, alle suore e al nipote, due sacerdoti ospiti del vicariato e l'ambasciatore Mario Manca accompagnato da Claudio Pacifico. L'unico somalo presente è Fulgenzio, il sacrestano, al quale spetta così il compito di rappresentare la piccola comunità cristiana locale..."


Fulgenzio (Mohamed Farak Osman prima del Battesimo), sacrestano della Cattedrale di Mogadiscio.
Fulgenzio è nato nel 1935 ed è morto a Milano il 25 maggio 2015. Per tanti anni è stato  sacrestano nella chiesa francescana di S. Angelo di via Moscova dopo la forzata fuga da Mogadiscio su un aereo italiano per sfuggire alla morte.
Riposa in pace.
Rovine della Cattedrale di Mogadiscio dopo la distruzione del 1991

Per saperne di più:

Il Vescovo col saioPietro Salvatore Colombo (Wikipedia)
Omicidio a Mogadiscio (CLICCA QUI PER LEGGERE IL LIBRO)
La Cattedrale di Mogadiscio
Somalia, mons. Bertin: basta fame e guerra
Aiuto alla Somalia
Guerra civile in Somalia
Somalia (Wikipedia)
Mogadiscio (Wikipedia)
Diocesi di Mogadiscio (Wikipedia)
Chiesa cattolica in Somalia



Altare di San Francesco nella Basilica di S. Antonio di Padova a Milano.
Qui riposano le spoglie di Mons. Salvatore Colombo, Bernardino Bigi, 

Fulgenzio Lazzati, Silvio Zocchetta dal 12 novembre 1997

Per maggiori informazioni:
Frate Massimiliano Taroni

giovedì 17 settembre 2015

Dove va la storia? Dilemmi e speranze di Rémi Brague

"Siamo e restiamo distanti come la Terra dalla Luna. E prima lo capiremo, meglio sarà per tutti."
Rémi Brague





Articolo di Marco Respinti, Libero 16 settembre 2015


"Il primo motivo per cui l'Occidente non riuscirà mai a parlare con l'islam è che manca una lingua comune. Una lingua culturale e intellettuale importante, per esempio la filosofia. Quando Benedetto XVI osò dirlo il 12 settembre 2006 a Ratisbona si aprì il cielo, ma la stessa cosa dice oggi uno degli intellettuali più raffinati e disincantati che abbiamo, Rémi Brague, classe 1947, professore emerito di Filosofia medioevale e araba all'Università di Parigi 1 Pantheon-Sorbona, dove dirige il centro di ricerca "Tradizione del pensiero classico", ha pubblicato libri decisivi. L'ultimo è un libro-intervista curato da Giulio Brotti, Dove va la storia? Dilemmi e speranze (La Scuola, pp. 140, euro 9,50).

Dice Brague che la "teologia islamica si è costituita in polemica contro il cristianesimo". Per l'Islam il Corano è la rivelazione diretta di Dio e quindi su quella parola divina increata non si può né ragionare né dire alcunché; ci si può solo sottomettere. La teologia islamica è tutta qui: sottomissione incondizionata dell'uomo a Dio. Per la filosofia intesa come discorso razionale sulle cause prime ed ultime del reale, e quindi debordante nella teologia classica intesa come discorso razionale sul divino, non vi è alcun posto. 
Di che parliamo dunque con l'Islam?
E' vero, vi fu un tempo in cui un angoletto alla filosofia fu ritagliato anche nel mondo musulmano , ma fu un'altra singola rondine che non fece primavera. "La filosofia araba", infatti, che "assume una certa neutralità in materia di religione",  prese ad affermare "l'esistenza di un principio unico, ispirato alla concezione neoplatonica dell'Uno", ma "non è sopravvissuta alla modernità. 
Chi l'ha schiacciata è stata proprio la teologia coranica, quella che domina il vasto oceano dell'islam contemporaneo. Perché chi obietta "filosoficamente" ha le ore contate. 
Del resto, il grande protagonista di quella fugace stagione di una filosofia arabo-islamica autonoma fu al-Farabi (870-950), originario dell'odierno Turkestan. Tentò una sintesi fra aristotelismo e platonismo, e lo fece in quanto "era stato allievo di cristiani" e a sua volta (a riprova delle illuminanti pagine con cui Rodney Stark dimostra che tutto ciò che di buono c'è nel mondo arabo-islamico è dovuto alla sopravvivenza o all'arabizzazione di sostrati e di personaggi cristiani, ebraici e pagani) "ebbe come discepolo Yahyà ibn 'Adi (+974), filosofo e teologo della Chiesa siriaca giacobita.
Certo, qualcuno c'è che abbia sostenuto che il Corano sia solo un prodotto umano. Furono i mutaziliti, il cui prestigio fiorì a tal punto da divenire, per un periodo, la dottrina di Stato del califfato abbaside; ma, caduti progressivamente in disgrazia dopo il Secolo X, furono considerati  solo degli eretici. "I modernisti vorrebbero riportare in vita la soluzione mutazilita", riflette Brague. "Io auguro loro buona fortuna, ma non dimentichiamo che sono trascorsi dodici secoli da quando quella scuola è stata eliminata. L'islam contemporaneo è tanto lontano da essa quanto noi lo siamo da Carlo Magno, e non ci si sbarazza tanto facilmente di abitudini di pensiero così inveterate". Quale dialogo, insomma? Siamo e restiamo distanti come la Terra dalla Luna. E prima lo capiremo, meglio sarà per tutti."
Marco Respinti