giovedì 17 settembre 2015

Dove va la storia? Dilemmi e speranze di Rémi Brague

"Siamo e restiamo distanti come la Terra dalla Luna. E prima lo capiremo, meglio sarà per tutti."
Rémi Brague





Articolo di Marco Respinti, Libero 16 settembre 2015


"Il primo motivo per cui l'Occidente non riuscirà mai a parlare con l'islam è che manca una lingua comune. Una lingua culturale e intellettuale importante, per esempio la filosofia. Quando Benedetto XVI osò dirlo il 12 settembre 2006 a Ratisbona si aprì il cielo, ma la stessa cosa dice oggi uno degli intellettuali più raffinati e disincantati che abbiamo, Rémi Brague, classe 1947, professore emerito di Filosofia medioevale e araba all'Università di Parigi 1 Pantheon-Sorbona, dove dirige il centro di ricerca "Tradizione del pensiero classico", ha pubblicato libri decisivi. L'ultimo è un libro-intervista curato da Giulio Brotti, Dove va la storia? Dilemmi e speranze (La Scuola, pp. 140, euro 9,50).

Dice Brague che la "teologia islamica si è costituita in polemica contro il cristianesimo". Per l'Islam il Corano è la rivelazione diretta di Dio e quindi su quella parola divina increata non si può né ragionare né dire alcunché; ci si può solo sottomettere. La teologia islamica è tutta qui: sottomissione incondizionata dell'uomo a Dio. Per la filosofia intesa come discorso razionale sulle cause prime ed ultime del reale, e quindi debordante nella teologia classica intesa come discorso razionale sul divino, non vi è alcun posto. 
Di che parliamo dunque con l'Islam?
E' vero, vi fu un tempo in cui un angoletto alla filosofia fu ritagliato anche nel mondo musulmano , ma fu un'altra singola rondine che non fece primavera. "La filosofia araba", infatti, che "assume una certa neutralità in materia di religione",  prese ad affermare "l'esistenza di un principio unico, ispirato alla concezione neoplatonica dell'Uno", ma "non è sopravvissuta alla modernità. 
Chi l'ha schiacciata è stata proprio la teologia coranica, quella che domina il vasto oceano dell'islam contemporaneo. Perché chi obietta "filosoficamente" ha le ore contate. 
Del resto, il grande protagonista di quella fugace stagione di una filosofia arabo-islamica autonoma fu al-Farabi (870-950), originario dell'odierno Turkestan. Tentò una sintesi fra aristotelismo e platonismo, e lo fece in quanto "era stato allievo di cristiani" e a sua volta (a riprova delle illuminanti pagine con cui Rodney Stark dimostra che tutto ciò che di buono c'è nel mondo arabo-islamico è dovuto alla sopravvivenza o all'arabizzazione di sostrati e di personaggi cristiani, ebraici e pagani) "ebbe come discepolo Yahyà ibn 'Adi (+974), filosofo e teologo della Chiesa siriaca giacobita.
Certo, qualcuno c'è che abbia sostenuto che il Corano sia solo un prodotto umano. Furono i mutaziliti, il cui prestigio fiorì a tal punto da divenire, per un periodo, la dottrina di Stato del califfato abbaside; ma, caduti progressivamente in disgrazia dopo il Secolo X, furono considerati  solo degli eretici. "I modernisti vorrebbero riportare in vita la soluzione mutazilita", riflette Brague. "Io auguro loro buona fortuna, ma non dimentichiamo che sono trascorsi dodici secoli da quando quella scuola è stata eliminata. L'islam contemporaneo è tanto lontano da essa quanto noi lo siamo da Carlo Magno, e non ci si sbarazza tanto facilmente di abitudini di pensiero così inveterate". Quale dialogo, insomma? Siamo e restiamo distanti come la Terra dalla Luna. E prima lo capiremo, meglio sarà per tutti."
Marco Respinti